Ci sono luoghi in cui il tempo sembra scorrere più lentamente, dove il passato non è solo un’eco lontana ma una presenza viva, radicata nelle pietre delle strade, nelle parole degli anziani, nei gesti quotidiani tramandati di generazione in generazione. Castellammare è uno di questi luoghi, una città che custodisce con fierezza il proprio passato, a volte con la malinconia di chi teme che il futuro non sappia rendergli giustizia.
In questo contesto, il primo Censimento Culturale Immateriale promosso dalla Pro Loco assume un significato profondo. Non si tratta solo di raccogliere dati o di stilare un inventario di usanze e tradizioni, ma di tessere un filo tra il tempo che fu e quello che sarà. Ogni memoria salvata è una radice che si rafforza, ogni gesto documentato è un “filo rosso che ci unisce” col futuro. In una città come Castellammare, che sembra avere più passato che futuro, questa iniziativa diventa quasi un imperativo esistenziale: riscoprire le proprie origini significa ritrovare un senso di appartenenza, un appiglio sicuro in tempi incerti.
Le tradizioni popolari, i mestieri antichi, le feste religiose e civili, il dialetto, i canti, i riti legati al mare e alla terra: tutto questo è patrimonio fragile, ma indispensabile. Perché una città senza memoria è una città che rischia di svanire, di diventare un contenitore senza anima. E Castellammare, con la sua storia fatta di acque termali, cantieri navali, miti e leggende, merita di esistere non solo nelle cartoline ingiallite ma in una memoria, che tramandata, conferma il valore delle cose passate.
Oggi più che mai, in un tempo che sembra avere poca pazienza per ciò che non è immediatamente utile o redditizio, custodire il passato è un atto di resistenza. Perché la memoria non è un peso, ma una bussola. E solo chi sa da dove viene può immaginare con coraggio dove andare.