Un dipinto che racconta una storia tragica con un incredibile ribaltamento dei ruoli. Protagonista dell’affresco, proveniente da Villa Arianna e oggi custodito al Museo Archeologico Libero D’Orsi a Quisisana, è Ippolito un giovane bellissimo, totalmente votato al culto di Artemide, e per giunta vergine. Ma il ragazzo pagò a caro prezzo la scelta di rifiutare l’amore e di vivere nel culto della dea della caccia. Afrodite, infatti, la considerò un’offesa mortale e ordì una tremenda vendetta nei suoi confronti. Tanto è vero che di Ippolito si incapricciò la matrigna Fedra che per un’ora d’amore col figliastro avrebbe fatto carte false. A confessare, però, l’insana passione fu la nutrice a cui il giovane oppose un deciso rifiuto. Nell’omonima tragedia, scritta da Euripide nel 428 avanti Cristo e ambientata a Trezene, Ippolito si scagliò in questo modo contro il gentil sesso. “O Zeus perché dunque hai messo fra gli uomini un ambiguo malanno portando le donne alla luce del sole? Se proprio volevi seminare la stirpe dei mortali non dalle donne dovevi produrla ma che gli uomini comprassero il seme dei figli depositando in cambio nei tuoi templi oro, ferro o bronzo. Ora invece, per portarci in casa questo malanno, distruggiamo le ricchezze della casa. La dimostrazione è che il padre aggiunge una dote e la colloca in altra casa per liberarsene. Chi si è preso questa terribile genia in casa gode, sciagurato, a ricoprire questo idolo maligno con ornamenti e vestiti, consumando le ricchezze. Ed egli si trova in questa necessità che, se si è imparentato con gente d’alto rango, deve tenersi una moglie odiosa e se ha sposato una brava donna deve tenersi inutili parenti e, col bene, sopportare un malanno. La cosa migliore è l’aver in casa una donna da nulla ma almeno inutile nella sua stupidità”. Insomma Ippolito non è certamente un amante delle donne e né mostra di apprezzarle. Peccato. In effetti è andato in scena un dramma nel dramma. La nutrice, per smodato amore nei confronti di Fedra, ha confessato l’inconfessabile senza che la padrona glielo avesse chiesto. Allora Fedra, in preda alla vergogna della proposta, si suicidò ma prima di farlo scrisse una lettera al marito in cui accusava il figliastro di violenza carnale. A questo punto entra in scena Teseo, padre di un ragazzo virtuoso e marito di una donna peccaminosa, che scaglia una maledizione contro il figlio che verrà, poi, dilaniato dai suoi stessi cavalli, aizzati da Poseidone. Solo nel finale, col classico intervento del deus ex machina, si chiarirà la situazione. Nel dipinto del Museo Libero D’Orsi, Ippolito è sgomento e protende in avanti la mano nell’intento di allontanare la proposta indecente avanzata dall’anziana donna.
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