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Ghiaccio e palorci su Monte Faito

Da tempo immemorabile gli uomini hanno avuto l’esigenza di procurarsi un refrigerio durante i lunghi mesi estivi. In attesa di soluzioni tecniche avvenuto solo alla fine del secolo XIX con l’invenzione dei frigoriferi, è intervenuta la natura. La montagna ha insegnato loro come ottenere la frescura durante la calura estiva.
Nei secoli passati questo problema è stato risolto con la costruzione delle neviere.
Di esse si conservano ancora le tracce su Monte Faito
Ma cosa sono le neviere, come funzionavano e come si portava a valle la neve sotto forma di ghiaccio?
La nostra montagna, la cui costituzione geologica è prevalentemente calcarea con la formazione di doline, cioè delle conche e crepacci nei quali la neve riusciva a mantenersi fino in estate specialmente se queste fosse naturali si erano formate in fitte zone boschive
I montanari dei tempi passati pensarono di formare delle doline artificiali in cui stipare la neve caduta durante l’inverno.
Fosse di forma circolare o troncoconiche furono scavate nel sottobosco in zona in cui i faggi secolari con il loro fogliame davano ombra e refrigerio nei mesi estivi.
Sorse così in forma primitiva una industria locale di ghiaccio con un ciclo di lavorazione formato da nevaioli, addetti al trasporto, ciucciari se la merce viaggiava a dorso di asini o muli ovvero marinai se veniva portata via mare verso Napoli o altre zone costiere, infine, i commercianti distributori.
Durante l’inverno apposte squadre, i nevaioli, con pale e cesti di vimini raccoglievano la neve e la depositavano nelle fosse il cui fondo, già dal mese di settembre, veniva pulito e coperto di fascine su sui si posavano foglie di faggio e felci.
La neve depositata su questo tappeto, per renderla combatta, la si batteva con pale o battitori in legno. In tal modo la fuoriuscita di aria e l’acqua che filtrava negli spazi vuoti sottostanti, favorivano la solidificazione in ghiaccio.
Il restante percolato, filtrando sul fondo coperto da fascine si perdeva nel terreno sottostante. L’operazione era ripetuta fino a quando la neviera era colma quasi a livello del suolo, allora si copriva con foglie e fieno e con uno strato di terra per ottenere l’isolamento termico.
In estate, secondo necessità, una piccola squadra di nevaioli tagliava con picconi, pale e cunei la massa gelata formando dei blocchi rettangolari di circa un quitale e mezzo, li avvolgevano con foglie e sacchi di juta e venivano avviati in città, principalmente a Vico Equense e Castellammare. Da qui con le feluche, piccole imbarcazioni mercantili, i blocchi di ghiaccio arrivavano a Napoli. Il ghiaccio veniva venduto agli acquaioli, gelaterie, famiglie facoltose e ospedali.
Oltre ai muli come arrivano i blocchi di ghiaccio in riva al mare? Semplice. Con i palorci. Impianto di trasporto costituito da un grosso filo metallico teso tra due punti a diverso livello e assicurato a robusti cavalletti infissi nel terreno, lungo il quale li si facevano discendere per gravità, appesi a un gancio. Sistema usato anche per il trasporto di legname per il real arsenale e fascine.
L’intero tratto era suddiviso in più parti perché un’unica corsa, per un dislivello di 1000 metri farebbe arrivare il carico con enorme velocità ed energia provocando notevoli disastri. Stazioni di arrivo e partenza era dislocate lungo il percorsi e il carico veniva sganciato ed agganciato al tratto successivo, scivolando con una adeguata e sicura velocità.

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Venerdì, 21 Marzo 2025 -
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